in prossimità del coprifuoco
nella notte dell’Ultimo
mi s’impossessa la voglia
di portar fuori le scoasse*
trattengo i miei occhi
che vorrebbero deduttare in un grido di orrore
i primo bidone è sgionfo* e rigettante
una triade di sacchetti obesi giace indolente ai suoi piedi
nel mezzo di una spolveratina di bucce ghiacciate
schiavo
con l’autorizzata chiave di serie
il secondo fratello lì appresso
trequarti pieno:
ci sta abbondantemente il mio sacchetto dell’umido
dovrei cacciarvi dentro quelli lì fuori
e far pulizia
ma mi riesce sempre meno di fare la brava
in questo scampolo di 2020
in più loro
quei sacchetti di frodo
mi sanno di barboni
e la notte dell’ultimo dell’anno
è tradizione che i barboni stiano fuori al gelo
indifferenti ai giochi d’artificio
in attesa della cioccolata calda dei volontari
qualche passo indietro
e lascio il secchiello vuoto
in zona privata
… la mia
la notte di fuori mi pretende ancora
una luna luminosissima
leggermente sgonfia mi fa compagnia
sotto una trapunta d’ovatta
luminescente
che sa d’extraterrestre e una stella tutta mia
il gelo è più furbo di me
oltrepassa il portale tra la canotta corta sotto il giubbino
e i frusti pantaloni dalla vita bassa
residuato di un antico indirizzo modaiolo
che dovrei abbandonare
stante l’abbondanza degli ultimi anni del mio circolo addominale
ma magari domani
ora mi sta bene
che il freddo boia riaccenda le mie cellule e
strapazzi la mia pelle
anche del mio naso nudo
si sta prendendo cura
me ne accorgo perché mi duole
sfolgora di rossovocabolarioetimologicoGarzanti
saremo attorno lo zero
sfilo nel deserto del quartiere
e mi attacco al tepore nelle luminarie
che ovunque in ogni angolo giro
si offrono opulente
come non avrei supposto
data la veste penitenziale di questo Natale
tanta magnificenza
mi coglie giubilante
e dietro le finestre illuminate
gli uomini e le donne fanno a loro modo festa
lo annuso
dai odori profughi del cenone
da quell’assenza silenziosa nelle strade
che è presenza confusa appena più in là
al chiuso
nel mistero immaginifico della case
sfocio nel cardo maximus
e ho un rimbalzo indietro
un botto nel cielo e un salice piangente di stelline
m’accolgono d’imperio
seguiti da una spruzzata calorosa di fuochi d’artificio
da una villetta dietro lo store dei mobili
alla fine dell’incendio
raccolgo
un battito di mani
e un ancora ancora
da una voce di bambino
passo accanto
ad un solitario con il cane
alza la zampetta contro il gracile fusto dell’alberello cittadino
costretto a dividere la sua riserva di terra
con un mucchietto di neve ghiacciata
ammantata da marogna* di scarico
verso casa
ma vorrei ancora trattenermi fuori
cerco di nuovo la luna
c’è ancora
sporge sopra il fiume quieto
ma è silenziosa e comprensiva sotto quelle lenzuola
mi confida:
lascio il palcoscenico ai bagliori degli uomini
ai giochi ai botti
alla voce di chi non vuol rimanere in silenzio
… e davvero
dalle mie parti
tra il vecchio e il nuovo anno
mai tanti schiaffi di luce e di colori
nel cielo
mai così tante carezze
in terra


